Senza di te
- Luca Bartolacelli

- 17 giu 2020
- Tempo di lettura: 2 min

SENZA DI TE ( la parte crudele dell’amore)
Lettera numero settecentosessantasette.
La prima su carta. Le altre le ho scritte nella testa. Una al giorno.
Un lavoro minuzioso. Accuratamente catalogato. Un archivio impolverato tra costole e sospiri.
Cercavo di capire quando ho iniziato a percepire la tua assenza.
Visualizzarne il suo vuoto, riempire questi zeri col tuo nome, un profumo, delle coordinate esistenziali, l’indirizzo dei tuoi occhi, delle dimensioni precise.
Se il mio cuore fosse un enorme magazzino disordinato, quando precisamente ho dedicato un angolo, uno spazio, uno scaffale a quella mancanza?
Ho cominciato a vivere senza di te dal primo momento che ti ho vista.
Se dovessi descrivere quell'attimo confuso, casuale, apparentemente insignificante, ti racconterei del rumore.
Un grosso orologio si è messo in moto. Antico, dagli ingranaggi arrugginiti. Seppellito dallo stesso tempo di cui si nutre.
Aspettava te.
Ha iniziato a contare. Non solo ore e istanti ma sensazioni, emozioni, domande, dubbi. E più crescevano i momenti insieme, più si allargava dentro di me l’ombra di una nostalgia che non aveva diritto e presupposti di esistere.
La tua figura prendeva forma e contorni definiti e iniziava a sgretolare le mie sicurezze. I riflessi del mio viso si confondevano e perdevano familiarità, la strada si faceva contorta, in salita, confusa. Nuova.
Parlo di privazione perché l‘innamoramento è un processo dalla meccanica complessa.
Affonda le basi nella matematica delle sottrazioni. Lavora in negativo sulle tue certezze. Da essere completo e autosufficiente, improvvisamente cedi pezzi del tuo puzzle in favore di uno sconosciuto, prestigiatore o ladro che sia. Cuore, pensieri e sonno in pasto ad animali notturni.
Con le tue funzioni vitali in allarme, in breve la tua sopravvivenza dipende da qualcuno.
Lo so, è una visione crudele dell’amore.
E' un affresco reale fino alla nausea ma ho lasciato il libro delle favole chiuso in soffitta questa sera. Gli autoscontri a tredici anni, in quei ruvidi sabato pomeriggio al luna park, in confronto erano una passeggiata.
Ma chiunque abbia provato quella sensazione di mancanza di aria nei polmoni, di smarrimento, mi capisce alla perfezione.
Adesso guardo le desolate pareti che prima ospitavano rilassanti quadri di paesaggi, tele astratte e poster dei miei cantanti preferiti, rimpiazzati ora da cornici vuote.
Lo spazio del nulla che diventa protagonista. Il vuoto che urla sotto i riflettori.
E ancora prima di capire se volevi sedere qui al mio fianco per un po’, mi trovo a fare i conti col vivere senza di te.
Anche il pugno più allegro e colorato di coriandoli è incompleto e triste senza il soffio di vento che lo getta in confusione.
Tic tac.
Tic tac.
Si è fatto tardi. Appoggio la penna.
Riprenderò domani a scrivere altre lunghe e dettagliate pagine bianche dentro di me.
C’è molto lavoro ancora da fare.
Muri da sgombrare e da riempire con l'attesa di te.
Alzo il volume della radio:
“ Pensavo di averti sentita ridere.
Pensavo di averti sentita cantare.
Credo di aver pensato di averti vista provare.”
Loosing my religion
R.E.M
L. B.





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