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La volta che nominarono Parigi

  • Immagine del redattore: Luca Bartolacelli
    Luca Bartolacelli
  • 21 lug 2020
  • Tempo di lettura: 1 min

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Non ho mai amato Parigi.

Non ci sono mai stato e non è nei miei programmi andarci. Non ho mai compreso perfettamente il motivo. Non mi attira la gente, la lingua. Non mi interessa la loro cucina. Non mi piacciono i colori della bandiera. Trovo contraddizione nella loro storia e nella loro politica odierna. Banale la loro idea di romanticismo. E a parte un paio di musei e quella loro enorme torre di ferro che mi attira solamente per la mia passione verso le altezze, Parigi non mi piace.

Poi mentre guardo una serie in tv, distratto sul divano, la nominano.

“Parigi, la città della libertà” dice lui.

Lei lo guarda. Incurva un sopracciglio.

“No”.

Lui si corregge preoccupato.

“Già. La città dell'amore”.

Qualcosa scatta in me.

E di colpo mi immagino lì, a passeggiare con te. In vie che non conosco affatto, ma che potrei disegnare a memoria. Lungo la Senna al tramonto, ad inseguire riflessi sull'acqua di case galleggianti con luci accese. A cercare vecchi libri usati in qualche pittoresca bancarella nascosta tra i vicoli. A litigare sul menù di un bistrot che sembra incomprensibile. A indovinare l'origine di un profumo che è burro e rose insieme.

Ad evitare di fissare il tuo sorriso, in competizione con alcune meraviglie di una gelosa città che ha perso in partenza se io giudice.

Ecco, anni di certezze e fondate argomentazioni in frantumi.

Io castello di carte, tu vento del nord.


L. B.

 
 
 

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